A conti fatti. La storia e la memoria dell'economia
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"A Conti fatti, la storia e la memoria dell'economia" è il programma di Radio 24 dedicato alla storia dell'economia che punta ad approfondire argomenti, temi, spunti e riflessioni offerti dall'attualità, da libri ed eventi connessi con l'economia per andare insieme indietro nel tempo, così da ricavare spunti utili a farci meglio comprendere i fenomeni complessi con i quali ci confrontiamo quotidianamente. La storia economica è da questo punto di vista uno strumento prezioso perché ci offre importanti chiavi interpretative di lettura e rilettura del passato anche recente. Ne abbiamo più mai bisogno in questa fase di profondi e repentini cambiamenti.
Autore: Radio 24
Ultimo episodio: 14/06/25 22:20
Aggiornamento: 15/06/25 17:10 (Aggiorna adesso)
Che legame esiste tra business e geopolitica? L'interrogativo è di un certo interesse nell'epoca dei grandi rivolgimenti che stiamo vivendo, a partire dagli esiti incerti dei due conflitti in corso, quello in Ucraina e tra Hamas e Israele, e dall'aggressiva politica commerciale messa in atto da Donald Trump. Ma cosa si intende esattamente per geopolitica? E per quali motivi il mondo del business la sta riscoprendo, rivisitata, dopo una lunga fase di oblio? Quali possibili scenari vanno prefigurandosi per il prossimo futuro per il sistema delle imprese? A queste domande offre una serie di analisi e risposte un libro pubblicato da Egea, dal titolo “Geopolitica per le imprese, ripensare il business nei mercati post-globali”, scritto da Marco Valigi con prefazione di Carlo Robiglio. Marco Valigi è politologo specializzato in relazioni internazionali, ma con un debole per la gestione d'impresa visto che nella sua formazione contempla anche un Master in Business Administration.
La grave crisi finanziaria che esplose nel 2008 negli Stati Uniti con il crollo di Lehman Brothers e i finanziamenti concessi con i mutui subprime, poi propagatisi a macchia d’olio per investire le economie e i conti pubblici di molti paesi, ha messo in luce i limiti di una globalizzazione mal governata anche per gli eccessi e il predominio incontrollato della finanza.
Oggi la maggior parte degli investimenti finanziari non serve più a sostenere nuove imprese o prodotti, ma ad accrescere il valore di ciò che già esiste. Questo fenomeno, poco studiato e ancor meno compreso, è noto come finanziarizzazione, e ha trasformato il valore dei beni – per esempio gli immobili e le materie prime – da valore d’uso a valore di investimento.
E ora, con l’aggressiva politica commerciale inaugurata da Donald Trump a suon di dazi, quali scenari vanno prefigurandosi? Ne parliamo prendendo spunto da un libro pubblicato da Longanesi dal titolo “Prima che tutto crolli, la finanziarizzazione cos’è e come sta sconvolgendo il mondo”. L’autore è Luciano Balbo, che è stato direttore generale di Finnova, la prima società di venture capital italiana, per poi fondare nel 1988 la prima società italiana di Private equity.
Nella storia recente del nostro Paese si sono registrate diverse revisioni da parte dell’Istat dei dati sul Prodotto interno lordo, che misura l’insieme dei beni e dei servizi prodotti ogni anno. La prima risale al 1987, che segnò il temporaneo sorpasso nei confronti del Regno Unito con una rivalutazione del Pil nominale di circa il 18% in seguito all’introduzione di stime dell’economia sommersa. La seconda è del 2014 che incrementò il Pil del 3,7% incorporando la stima dell’economia illegale. L’ultima revisione risale al settembre 2024, con un ritocco al rialzo del Pil dell’1,1% nel 2021. Revisione ampliata al 2% nel 2023 con evidenti riflessi sui conti pubblici. Ma che ruolo hanno queste revisioni statistiche per la nostra economia? Il tema è al centro di un articolo apparso nell’ultimo numero della rivista Il Mulino, dal titolo “Si può parlare di declino italiano?”, scritto dagli economisti Innocenzo Cipolletta e Sergio De Nardis. Ne emerge che ridimensionati i timori di scarsa produttività delle imprese italiane (in particolare per quanto attiene al settore manifatturiero) e le diagnosi di declino economico dell’Italia avanzate sulla base di dati provvisori che poi sono risultati corretti anche in maniera significativa. Alla luce dei nuovi dati - si legge nell’articolo - l’economia italiana appare più vicina, come comportamenti, agli altri grandi Paesi europei e non sembra rappresentare una reale anomalia. Ne parliamo con Innocenzo Cipolletta.
In un contesto geopolitico contrassegnato dal ritorno di nazionalismi, da 56 guerre in corso, il numero più alto registrato dalla fine della seconda guerra mondiale, dal ritorno a chiusure e protezionismi come mostrano chiaramente le azioni messe in campo dagli Stati Uniti sotto la guida di Donald Trump, sotto forma di dazi e di lotta all’immigrazione, ricompaiono inquietanti alcuni fantasmi che si credevano confinati nel passato più buio della storia. Stiamo parlando del ritorno della razza, come colore della pelle e spesso come rivendicazione identitaria. Ne parliamo prendendo spunto da un libro pubblicato dal Mulino dal titolo “Il ritorno della razza”. L’autore è Andrea Graziosi, docente di storia contemporanea all’Università di Napoli Federico II
L’ignoranza ha un costo? Certamente sì se si guarda ad esempio al danno prodotto da una scarsa conoscenza in tema di educazione finanziaria. Stando ad alcune recenti stime, negli ultimi anni circa 1,5 milioni di persone hanno perso complessivamente 52,7 miliardi di euro a causa di scelte sbagliate in investimenti e finanze personali. Una responsabilità che ricade non solo sui risparmiatori ma anche sugli intermediari finanziari. Ma se allarghiamo il campo, scopriamo che in Italia l’ignoranza è oggi un prodotto di straordinario successo, spesso sbandierato con orgoglio. E l’Italia è uno dei migliori luoghi al mondo per la sua ideazione, produzione, commercializzazione e consumo. Come si è arrivati a ciò? A queste domande offre una serie di risposte anche provocatorie un libro pubblicato da Egea dal titolo “Il marketing dell’ignoranza, un prodotto made in Italy di straordinario successo”. L’autore è Paolo Guenzi, docente di Marketing e Vendite all’Università Bocconi e in SDA Bocconi School of Management.
Dal 29 al 31 maggio 2025 torna a Lecce la tredicesima edizione del Festival dell’Energia, manifestazione dedicata al presente e al futuro dell’energia. Tra i temi centrali del festival, i nuovi equilibri geopolitici e la sicurezza degli approvvigionamenti in un contesto globale sempre più instabile. E ancora il possibile ritorno del nucleare nei piani strategici del Paese, le prospettive dell’industria, italiana e internazionale, nel quadro della transizione energetica. Per finire con le sfide della sostenibilità, sia ambientale che economica e sociale, l’impatto dell’intelligenza artificiale sui consumi, la disinformazione, le fake news, il clima, l’economia circolare, risorse idriche, la diplomazia multilaterale, scienza e innovazione. Un insieme di temi a tutto campo, di cui discutiamo questa sera, cari ascoltatori, in compagnia del presidente del festival, Alessandro Beulcke.
"Entrai per la prima volta alla SVIMEZ in un giorno del 1967 per un colloquio con il Prof. Saraceno, che avevo conosciuto pochi giorni prima. Il colloquio fu facilitato dalla sua naturale propensione ad affascinare i giovani che si affacciavano sui percorsi da lui battuti". È l’incipit di un libro che ripercorre il ruolo della Svimez, l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, scritto per il Mulino da Paolo Baratta, dal titolo “Dal Mezzogiorno, riflessioni e convinzioni dall'interno della Svimez”. Paolo Baratta ha ricoperto diversi incarichi pubblici, dalla presidenza del Crediop a quelli di ministro in tre governi (Amato, Ciampi, Dini), alla presidenza della Biennale di Venezia dal 1998 al 2000 e dal 2007 al 2020.
Nell’autunno del 2011 l’Italia venne investita da una grave crisi economica e finanziaria, che la portò - come tutti ricorderemo - a fare i conti con una situazione di grave sfiducia da parte dei mercati e dei partner internazionali. Lo spread, indicatore chiave che fotografa l’andamento dei titoli decennali del Tesoro con gli omologhi titoli tedeschi aveva raggiunto il record assoluto dei 574 punti base. Una situazione molto critica che poneva a serio rischio la stabilità dell’intero sistema economico e la sopravvivenza stessa dell’eurozona. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si assunse l’onere di provare a risolvere quella gravissima crisi e lo fece chiamando a guidare il Governo, al posto del dimissionario governo Berlusconi, il prof. Mario Monti che lo stesso Napolitano pochi giorni prima aveva nominato senatore a vita. Ripercorriamo oggi cari ascoltatori quei drammatici giorni e settimane proprio in compagnia del senatore Monti autore di un libro pubblicato da Solferino dal titolo “Demagonia, dove porta la politica delle illusioni”.
Da trent’anni i redditi dei lavoratori italiani non crescono. La questione salariale, è nel nostro paese, un’anomalia assoluta tra le economie avanzante con caratteri quasi strutturali e conseguenze negative sul piano economico e sociale. Una questione che riguarda il lavoro povero, ma anche la fascia medio alta, quella su cui incombe gran parte del carico fiscale che sostiene il nostro sistema di welfare. Ma quali sono le cause che hanno determinato il blocco dei salari e quali sono le possibili strade per farvi fronte? A questi interrogativi offre alcune interessanti risposte il libro appena pubblicato da Egea dal titolo “La questione salariale”, scritto sotto forma di dialogo da Andrea Garnero e Roberto Mania. Ne parliamo con Andrea Garnero, economista dell’Ocse a Parigi, che si occupa in particolare di salari minimi e contrattazione collettiva.
Se si guarda alla storia del nostro Paese, non vi è dubbio che l’energia ha rappresentato il motore dell'Italia moderna, segnandone il percorso economico e politico. Dalle prime esplorazioni petrolifere all’ascesa delle grandi aziende nazionali, passando per le nazionalizzazioni degli anni Sessanta e le crisi di mercato, il settore energetico si è intrecciato con gli equilibri internazionali, contribuendo a definire il nostro modello di sviluppo. A ripercorrere questo lungo e interessante tragitto è un libro pubblicato da Luiss University Press dal titolo “Super! Un secolo di energia in Italia”. Un libro che ripercorre un secolo di profonde trasformazioni, raccontando come l'Italia sia passata da una dipendenza totale dalle importazioni a un ruolo chiave nelle strategie globali. Ne parliamo in compagnia dell’autore, Alessandro Lanza, direttore esecutivo della Fondazione Eni Enrico Mattei, e docente di Energy and Environmental Policy alla Luiss.
Le tasse non saranno forse “bellissime” come anni fa aveva sostenuto in modo provocatorio ma efficace Tommaso Padoa-Schioppa, ma certamente sono un elemento centrale del rapporto tra lo Stato e i cittadini. Tasse che - osserva Alessandro Santoro nel libro appena pubblicato dal Mulino dal titolo “L’economia delle tasse, cosa sono e come dovrebbero cambiare” - rappresentano la più concreta manifestazione della cessione di libertà individuale che ognuno di noi fa in cambio della protezione, dei beni e dei servizi che lo Stato ci offre. Il libro ci invita a occuparci delle tasse, non solo versando all’erario quanto dovuto, ma anche chiedendoci come e perché sono concepite e applicate, se il sistema attuale del prelievo è più o meno equo (in considerazione dell’alta evasione fiscale) e quali potrebbero essere le alternative possibili per le principali categorie di imposte, dall’Irpef all’Iva. Ne parliamo in compagnia del prof. Santoro, professore ordinario di Scienza delle Finanze nell’Università di Milano-Bicocca, in passato consigliere di diversi ministri dell’Economia.
Nonostante possa vantare molti di forza, il nostro Paese deve fare i conti con alcune persistenti fragilità che rischiano di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, la competitività, i livelli di benessere. Le guerre, gli squilibri geopolitici, la frammentazione dell’economia globale, le grandi transizioni in atto - digitale e ambientale - hanno infatti mutato profondamente lo scenario, amplificando gli effetti di alcune storiche debolezze del Paese. Se alcuni divari rispetto ad altre aree del mondo esigono misure europee, ancor più urgenti dopo l'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, altri vanno governati a livello nazionale con nuove politiche. Muove da queste premesse il libro scritto per Mondadori da Roberto Garofoli e Bernardo Giorgio Mattarella, dal titolo “Governare le fragilità, sicurezza nazionale, competitività”. Un libro frutto di un lungo lavoro di analisi che espone con chiarezza i nodi con cui il nostro Paese deve misurarsi, dalle politiche della difesa all’ammodernamento della macchina pubblica, dal fisco alla revisione della spesa pubblica, dall’energia alla sanità, all’istruzione e alla ricerca. Ne parliamo con uno dei due autori, Roberto Garofoli, presidente di sezione del Consiglio di Stato, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Draghi, nonché ex segretario generale a palazzo Chigi e capo di gabinetto nei ministeri dell’Economia e della Funzione pubblica.
La Germania, il paese che dalla fine della Guerra fredda è stato il simbolo di un’Europa finalmente in pace, si trova alle prese con una «tempesta perfetta». La Germania riunificata è d’improvviso più vulnerabile e il continente fa i conti con un Paese che sta perdendo la sua capacità di imprimere una direzione all’Europa. Un tempo locomotiva d’Europa, la Germania da due anni è in recessione e ora si avvia a una svolta con il nuovo governo che il prossimo cancelliere Friedrich Merz si appresta a formare, sotto la spinta dell’emergenza imposta sul versante della sicurezza dall’offensiva di Donald Trump sul fronte della guerra in Ucraina, con l’Europa che vara un maxi piano di riarmo da 800 miliardi di euro, e la Germania si appresta ad allentare il vincolo costituzionale sul debito. Di Germania e dell’insorgere di quella che potremmo definire una “questione tedesca”, parliamo prendendo spunto da un libro pubblicato da Paesi edizioni dal titolo “Achtung, Germania in panne, che ne sarà del modello tedesco”, collana diretta da Frediano Finucci. L’autore è Alexander Privitera, senior non resident fellow presso l’American German Institut della John Hopkins University di Washington e senior fellow presso ISEA centro studi.
E' pari a 2,1 miliardi di tonnellate la quantità di materiali che ogni anno finiscono in discarica, senza essere riciclati se non in minima parte, mentre 100 miliardi di tonnellate è la domanda di materiali che ogni anno miliardi di persone genereranno. Nel mondo che verrà la catena di montaggio non basterà più: servirà anche una catena di smontaggio. Una vera e propria rivoluzione industriale che sta avvenendo sotto i nostri occhi, fatta di nuove imprese, nuove tecnologie e nuovi processi produttivi. Temi di grande rilevanza, cui non viene posta sufficiente attenzione, che affrontiamo prendendo spunto da un libro pubblicato da Egea dal titolo “La catena di smontaggio, la rivoluzione dell’economia dei materiali”, con prefazione di Massimo Sideri e postfazione di Luigi Ruggerone. L’autore è Davide Reina economista d’impresa, Associate Professor of Practice in SDA Bocconi School of Management, e Managing Partner di una società di consulenza strategica.
Il pensiero economico italiano affonda le sue radici nel Medioevo. Assume rilevanza nel Rinascimento e nell’Illuminismo. Si afferma nel primo cinquantennio dell’Italia unificata con personalità quali Ferrara, Pantaleoni, Pareto, Barone, De Viti de Marco, Einaudi, Ricci. Nelle due guerre e nella parentesi fascista tale tradizione si appanna. L’apertura dialettica dischiusa dall’Italia democratica, repubblicana, dopo il 1946 e il ristabilirsi delle relazioni culturali con l’estero favoriscono un recupero degli studi di economia. E proprio al pensiero economico che si è sviluppato in Italia dal secondo dopoguerra in poi è dedicato il volume appena pubblicato da Treccani in occasione del centenario della sua nascita. Era infatti il 18 febbraio del 1925 quando venne costituito a Roma ufficialmente l’Istituto Giovanni Treccani per l’Enciclopedia italiana che nel 1933 avrebbe poi assunto la denominazione di Istituto per l’Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani. Il volume, pubblicato a cura di Pierluigi Ciocca e Giangiacomo Nardozzi, si intitola appunto “Il pensiero economico nell’Italia Repubblicana”. Ne parliamo con Pierluigi Ciocca che in Banca d’Italia è stato economista in più settori del Servizio studi e responsabile della ricerca economica, nonché vice direttore generale.
Nel Cinquecento si verificarono quattro eventi rivoluzionari: la scoperta dell’America; l’invenzione della stampa; l’invasione musulmana ai confini d’Europa e il primo disordine finanziario globale. L’asse geopolitico dell’Europa si spostò dall’area mediterranea a quella atlantica. Oggi viviamo in un’epoca altrettanto traumatica a causa di quattro fenomeni paralleli: la «scoperta» dell’Asia e principalmente della Cina; l’affermazione della Rete che ci spinge verso una modernità artificiale; la guerra sul fronte orientale, dall’Ucraina al Medio Oriente, che è un unico attacco al nostro mondo occidentale. Mentre il rischio di un disordine finanziario internazionale è alle porte a causa dell’enorme massa di debito accumulata. Temi e riflessioni che affrontiamo in compagnia di Giulio Tremonti, presidente della Commissione Esteri della Camera, nonché ex ministro dell’Economia, autore di un libro appena pubblicato da Solferino, dal titolo “Guerra o pace”.
In un articolo pubblicato su Avvenire lo scorso 26 gennaio 2025 Enrico Giovannini, professore ordinario di Statistica economica all’Università di Roma Tor Vergata, nonché ex presidente dell’Istat, ministro del Lavoro nel governo Letta e ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili nel governo Draghi, ha sostenuto che negli Stati Uniti guidati da Donald Trump è in atto una profonda rivoluzione del concetto stesso di Stato. E nel nuovo mondo che si intende realizzare rischia di diventare sostanzialmente irrilevante anche la statistica “ufficiale”, che dovrebbe non solo consentire agli amministratori di individuare problemi e possibili soluzioni ma anche ai cittadini/ elettori di valutare la qualità dell’azione politico-amministrativa in base ai dati prodotti secondo criteri di scientificità e autonomia. Del ruolo fondamentale delle statistiche economiche parliamo proprio con il professor Giovannini che ha scritto insieme a Roberto Monducci, un libro, giunto alla terza edizione, pubblicato dal Mulino, dal titolo “Le statistiche economiche, fonti, metodi e dati per comprendere il sistema economico”.
Per un paese, come il nostro, che deve far fronte a un debito pubblico che ormai viaggia verso i 3mila miliardi, e in rapporto al Pil si attesta nei dintorni del 135%, con la conseguente necessità di impegnare in spesa per interessi risorse pubbliche per circa 80 miliardi l’anno, l’accurata gestione della finanza pubblica è prioritaria. Anche alla luce dei vincoli che derivano dalla recente revisione in sede europea del Patto di stabilità e di crescita. Per questo è quanto mai utile che tutti sappiano quali enti e organismi pubblici sono preposti, nell’attuale ordinamento al controllo e al monitoraggio dei nostri conti pubblici. Oltre naturalmente alla Corte dei Conti, che è un organo di rilievo costituzionale, con funzioni di controllo e giurisdizionali, previsto dagli articoli 100 e 103 della Costituzione, un’importanza sempre crescente l’ha assunta l’Ufficio parlamentare di Bilancio. Ne parliamo con la Presidente Lilia Cavallari (nella foto), professoressa ordinaria di Economia politica all’Università Roma Tre.
Sono circa 6 milioni gli italiani che vivono all’estero. Oltre 2,8 milioni, pari al 48,2% sono donne. Stando al rapporto annuale degli italiani nel mondo, la presenza femminile nell’emigrazione italiana è cresciuta in misura costante. Dal 2006 a oggi è praticamente raddoppiata. Certo, l’emigrazione femminile è un fenomeno che esiste da tempo, in particolare a partire dalla seconda guerra mondiale. Poi dal 2000 in poi ha assunto caratteristiche differenti. Ma quali sono le motivazioni che negli ultimi 25 anni hanno indotto così tante donne a emigrare? Spesso emerge un desiderio di emancipazione, di crescita personale e professionale. I lavoratori italiani all’estero contribuiscono al Pil per l’8%. Del fenomeno dell’immigrazione femminile parliamo questa sera, cari ascoltatori, traendo spunto da un libro pubblicato da Tau editrice in collaborazione con la Fondazione Migrantes, dal titolo “Sulle ali del cambiamento, narrazioni femminili dell’emigrazione italiana contemporanea”, scritto da Loredana Cornero, saggista ed esperta di media gender e di rappresentazione e rappresentanza femminile nei media, già segretaria generale della comunità radiotelevisiva italofona.
Nel discorso pronunciato a Davos lo scorso 23 gennaio, il neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha attaccato senza mezzi termini l’Europa, chiedendo agli alleati della Nato di aumentare la spesa per la difesa al 5% del PIL e minacciando tariffe sulle aziende che non producono negli Stati Uniti. È una sfida con la quale l’Unione europea è chiamata a confrontarsi da qui ai prossimi mesi, soprattutto se la minaccia di nuovi dazi da parte degli Stati Uniti si farà più concreta. Vale allora la pena, cari ascoltatori, ripercorrere la genesi del Vecchio Continente, tracciare un quadro che nel corso del tempo ci porta agli assetti attuali di una costruzione europea ancora per molti versi incompiuta. Ne parliamo questa sera traendo spunto da un libro, giunto alla terza edizione, dal titolo “Storia minima d’Europa, dal neolitico a oggi”, pubblicato dal Mulino. L’autore è Andrea Zannini, docente di Storia dell’Europa all’Università di Udine.
Secondo i dati resi noti dalla banca centrale di Israele, i costi della guerra con Hamas potrebbero raggiungere i 60 miliardi di euro, pari a circa il 12% del Pil. Il deficit di bilancio, alimentato dalla spesa per la difesa raddoppierà fino all’8% del Pil. Le proiezioni di crescita economica per Israele sono scese dall’aspettativa iniziale del 3,4% a una forbice compresa tra l’1% e l’1,9%. Anche a causa della mancanza di manodopera palestinese, la produzione agricola in Israele ha subito una flessione del 25%. Ma se la situazione in Israele desta preoccupazione, a Gaza è semplicemente devastante a causa della disoccupazione (oltre l’80%), della crisi umanitaria e della mancanza di fonti di reddito. il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha indicato che il Pil di Gaza si è ridotto di quasi il 90%. Sono alcune delle conseguenze economiche innescate dalla guerra ora avviata a una faticosa quanto fragile tregua. Al conflitto tra Israele e Hamas esploso in seguito alla strage del 7 ottobre 2023 compiuta da Hamas, e che ha finora causato oltre 47mila vittime a Gaza, è dedicato un libro pubblicato da Laterza, dal titolo “Il suicidio di Israele”. L’autrice è Anna Foa, che ha insegnato per molti anni storia moderna all’Università di Roma La Sapienza.
Nell’anno appena trascorso, il 2024, si sono svolte molteplici iniziative per rievocare la figura di Giacomo Matteotti, deputato socialista, nel centesimo anniversario della sua scomparsa e uccisione da parte di una squadra fascista. E’ stato rievocato il suo famoso intervento alla Camera del 30 maggio 1924 quando Matteotti denunciò senza mezzi termini le gravi irregolarità delle recenti elezioni e le violenze dello squadrismo fascista contro i candidati dell’opposizione. Poche settimane dopo, il 10 giugno del 1924, ebbe luogo il suo rapimento e l’uccisione. Si è scritto molto della tragica vicenda politica e umana di Giacomo Matteotti. Non è emerso però a sufficienza il suo costante impegno sul versante delle riforme a partire dalla questione fiscale. Ora un interessante libro dal titolo “La riforma tributaria, il metodo Matteotti” pubblicato da Bologna University press mette in luce proprio questo aspetto. Ne parliamo in compagnia dell’autore, il prof. Francesco Tundo, professore ordinario di diritto tributario all’Alma Mater studiorum, Università di Bologna.
Il 6 e 7 maggio del 2022 si svolse all’Università La Sapienza di Roma e presso il Museo nazionale romano un importante convegno internazionale per commemorare il quattrocentesimo anniversario di un evento molto significativo per la memoria storica europea: la dedica alla Madonna trionfante della chiesa di Roma che si chiama appunto Santa Maria della Vittoria nei pressi del Quirinale, e che rievoca la vittoria della Montagna Bianca, battaglia combattuta l'8 novembre 1620 che rappresentò uno scontro decisivo nel contesto della fase boema della guerra dei trent'anni. Battaglia che vide opporsi le forze cattoliche dell'Imperatore Ferdinando II e della lega cattolica e le truppe della Confederazione boema di Federico V del Palatinato. Fu la prima importante sconfitta protestante nella guerra dei Trent’anni. Gli atti di quel convegno sono ora pubblicati in tre volumi, curati da Tomàs Parma, Andrea Trenta e Francesco Gui, quest'ultimo ospite della puntata.
Siamo nel pieno di una transizione demografica che ci sta portando gradualmente verso quella che si potrebbe definire la società della longevità, un cambiamento epocale che porta a rivoluzionare condizioni, rischi e opportunità nelle varie fasi della vita, in interazione con le trasformazioni sociali, culturali, tecnologiche, oltre ad avere ricadute sui rapporti tra generazioni. La sfida è enorme, e pone interrogativi su come garantire sistemi di welfare in grado di sostenere l’aumento della longevità e dell’aspettativa di vita, su come rendere più solida una base giovane-adulta in grado di far fronte alla società della longevità. In questo contesto l’Italia è in prima linea nel processo di invecchiamento globale, se si considera che un italiano su quattro ha 65 anni o più. Abbiamo al tempo stesso tassi di fecondità tra i più bassi in Europa. Entro il 2040 gli individui oltre i 50 anni costituiranno circa la metà della popolazione e gli over 75 saranno pari a un quinto della popolazione totale. Ne parliamo questa sera prendendo spunto da un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista Il Mulino dedicato proprio al tema dell’invecchiamento della popolazione, dal titolo “Verso la società della longevità?”. L’autore è Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano.
Se si guarda agli ultimi dati disponibili, l’andamento del mercato del lavoro nel nostro paese sembra decisamente positivo, come del resto rivendica a più riprese il Governo: crescita degli occupati, maggiore presenza delle donne, calo della disoccupazione. Non solo siamo in più a lavorare, ma lavoriamo sempre meno. Ma è davvero questa la situazione? Qual è effettivamente il tipo di occupazione in crescita? E come siamo messi sul versante degli stipendi e dei diritti? La tesi sostenuta nel libro offre uno spaccato diverso e nuove chiavi di interpretazione dell’universo del nostro mercato del lavoro: dall’inizio del nuovo secolo, in Italia si è alimentata un’illusione - si legge nel libro -: quella di essere diretti verso la piena occupazione. Se si analizzano i numeri, emerge una diversa realtà: in questi anni si è assistito a una rapida crescita non di un’occupazione dotata di stabilità e tutele, ma della sottoccupazione, con forme e tipi di lavoro frammentato e vulnerabile. Il libro ha un titolo emblematico: “Verso la piena sottoccupazione, come cambia il lavoro in Italia”, pubblicato da Donzelli curato da Raffaele Brancati, insieme a Carlo Carboni, già ordinario di sociologia economica presso l’Università Politecnica delle Marche e dal 2007 collaboratore de Il Sole24Ore.
L'Italia è il paese con più siti Unesco al mondo, definiti come patrimonio dell’umanità. Sono 60. Abbiamo un immenso patrimonio culturale, oltre che turistico e paesaggistico, eppure siamo ben lontani dall’investire e dal valorizzarlo al meglio. Secondo l’ultimo rapporto di Federculture, l’Italia è agli ultimi posti nella classifica europea per spesa complessiva nella cultura in rapporto al Pil: siamo allo 0,5%. Peggio di noi fa solo la Grecia con lo 0,3%, e siamo alla pari con Cipro, contro lo 0,9% della media europea, lo 0,8% della Germania, l’1,2% della Francia, l’1% della Spagna. Eppure si tratta di un settore che conta 825mila occupati. L'intera filiera del sistema produttivo culturale e creativo vale in Italia 104,3 miliardi di euro di valore aggiunto. Ne discutiamo grazie a un libro pubblicato da Egea dal titolo “La cultura è di tutti”, scritto da Paola Dubini, nostra ospite e docente di Management all’Università Bocconi di Milano, insieme a Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino.
Clima, energia, difesa, riforme, bilancio, fiscalità, disuguaglianze, Occidente, Oriente, Nazioni Unite. Sono questi i problemi con cui l'Europa deve fare i conti: i dieci capitoli da negoziare con il pianeta per rimanere rilevanti nella sua governance. E sono questi i dieci capitoli di un libro “Destini incrociati, Europa e crisi globali”, pubblicato dal Mulino e scritto all'indomani delle decime elezioni europee. Quello straordinario luogo di convergenza di interessi e di valori che è l'Unione europea saprà rimanere un fatto mondiale? Riuscirà, anche dinanzi alle crisi odierne, a proseguire nella istituzionalizzazione della sua pace? Siamo davvero idonei al futuro? Dieci domande poste al cuore dell'Europa politica. Un libro-lettera indirizzato alla nuova Commissione europea. Ne parliamo questa sera in compagnia dell’autore del libro Antonio Padoa-Schioppa, professore emerito di Storia del diritto medievale e moderno presso l’Università di Milano.
Da quando il famoso sociologo e filosofo tedesco Max Weber identificò nel lavoro come valore in sé l'essenza del capitalismo e ricondusse all'etica della religione protestante, in particolare calvinista, lo spirito del capitalismo, la riforma protestante di Martin Lutero della prima metà del Cinquecento è stata indagata in tutti i suoi aspetti. Conosciamo meno invece gli effetti della reazione della Chiesa cattolica con la cosiddetta Controriforma, e cioè quanto le forme teologiche, sociali, etiche della risposta cattolica alla Riforma di Lutero abbiano profondamente condizionato il modo di intendere l'economia e gli affari in Italia e negli altri paesi cattolici. Ne sappiamo ora di più, cari ascoltatori grazie a un libro pubblicato dal Mulino dal titolo “La terra del noi, ombre e luci dell’economia della Controriforma”, scritto da Luigino Bruni, docente di economia politica all’Università Lumsa di Roma.
Chi sono i ricchi? Come lo si diventa? Perché le ricchezze tendono ad accumularsi nelle mani di pochi? Oggi le società occidentali sembrano ossessionate dai ricchi: ammirati e lusingati e, allo stesso tempo, biasimati e disprezzati. Ma è sempre stato così? Nel corso di mille anni le cose sono molto cambiate. Nel Medioevo, ad esempio, un’eccessiva accumulazione di ricchezze era considerata peccaminosa e perciò ci si attendeva che i ricchi non facessero sfoggio della propria opulenza. Per lungo tempo la loro semplice esistenza ha prodotto disagio sociale, mitigato solo dal ruolo che potevano svolgere nei tempi di crisi, impiegando i propri beni per aiutare la comunità. In passato come oggi, però, ci si è interrogati su come si diventa ricchi e sul perché le ricchezze tendono ad accumularsi nelle mani di pochi. Diventare ricchi è frutto di abilità o di fortuna? Di parsimonia o di capacità d’investimento? Quanto contano le ricchezze ereditate e quanto le reti di relazione che si creano nel corso della propria vita? Ne discutiamo questa sera, cari ascoltatori, prendendo spunto da un libro appena pubblicato da Laterza dal titolo “Come dèi tra gli uomini, una storia dei ricchi in Occidente”, scritto da Guido Alfani, docente di storia economica all’Università Bocconi di Milano.