Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport


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Di Diego Alverà.
Nello sport come nella vita, ci sono diversi modi di mettersi in gioco. Non tutti sono ortodossi. Spesso il tempo ci consegna le gesta di uomini e fuoriclasse che hanno trasceso la sfida sportiva, trasferendola su terreni inediti o spingendo il contenuto agonistico del confronto al di là delle regole, delle consuetudini e del prevedibile. Oltre, appunto. Queste sono venti storie di sportivi che hanno aperto una strada, cambiando le regole del gioco.
Un progetto di Storie avvolgibili, un testo tratto dal libro di Diego Alverà “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport”
Autore: Storie avvolgibili
Ultimo episodio: 21/06/21 16:58
Aggiornamento: 24/04/24 7:09 (Aggiorna adesso)
Alfredo Binda. Manifesta superiorità
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport).
Talento innato, velocità magistrale e disarmante resistenza sono il mix perfetto per essere amato nel mondo del ciclismo? Non sempre. La parabola sportiva di Alfredo Binda negli anni '20 ne è la prova. Perché se sei il migliore e vinci a ripetizione, ma il pubblico è privato dello spettacolo della competizione, può accadere che talento e trionfi non corrispondano all'essere amati.
João Saldanha. L’uomo dei sogni
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport).

“A João piaceva andare controcorrente. Adorava le polemiche, lo scontro verbale, talvolta anche quello fisico. Lui allenava uomini e giocatori, idee e pensieri. Masticava futebol e tattiche, inventava parafrasi e neologismi, agitava cuori ed emozioni, smascherava scandali e imbrogli agitando sempre menti e coscienze, sfuggendo alla polizia, ai dittatori ed al peso di qualche irrisolta contraddizione. Non era solo un grande pensatore, non era solo un grande giornalista e allenatore.
Lui era João Saldanha, l’uomo dei sogni.”
Kathrine Switzer. Run like hell
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport). 
261. Un numero legato a una storia potente di vita, diritti e morale. Che racconta cosa volesse dire essere donna negli anni Sessanta, perché altro non è che il numero di pettorale con cui Kathrine Switzer prese parte alla Maratona di Boston del 1967. Non una gara come le altre, bensì un evento storico: per la prima volta una donna corre la più antica delle maratone moderne al mondo, aggirando regole anacronistiche e discriminatorie, suscitando un movimento di opinione sui diritti delle donne nello sport. Ma con quale stratagemma e con l’aiuto di chi Katy riuscì a iscriversi a quella Maratona? 
Steve Prefontaine. Fermate Pre
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport). 
«C’è chi crea con le parole, o con la musica, o con un pennello, una tavolozza e dei colori. A me piace fare qualcosa di bello quando corro». Steve Prefontaine fu uno dei più forti mezzofondisti americani degli anni Settanta. Il suo stile di corsa coraggioso si faceva beffe di tattiche, calcoli e strategie, e lo consacrò alla leggenda dello sport durante la finale dei 5000 alle Olimpiadi di Monaco del 1972: un podio perso di un soffio dopo aver corso a più non posso, sempre davanti a tutti. “Pre” esce vincitore morale da quella gara e tutti già pensano che si rifarà ai Giochi successivi; ma un destino ingrato lo consegna al mito fermando la sua corsa a soli ventiquattro anni, con un incidente d’auto il 30 maggio 1975 tra i boschi del suo Oregon.
Jacques Anquetil. Vinca chiunque, ma non Poulidor!
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport). 
Jaques Anquetil fu uno dei più forti ciclisti della storia. Vinse cinque Tour de France, fu il primo a conquistare tutte e tre le maggiori competizioni (Tour, Giro e Vuelta), iniziò nel 1953 a soli 19 anni. Più tattico che spettacolare, in quel suo ciclismo faticoso e spietato, in quel suo modo radicale ed estremo di prendere la vita, Jacquot non metteva mai malizia. Perché quello era il modo che aveva scelto per combattere le convenzioni e sconfiggere la stupida prevedibilità. E pazienza se poi il pubblico non gradiva, se qualcuno era sempre pronto a criticarlo. Perché per lui quello era il prezzo: o tutto o niente.
Eugenio Monti. Un bullone fatale
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport). 
Eugenio Monti apparteneva a una generazione di atleti abituata a stenti e difficoltà. Come tutti loro, anche lui non intendeva mai negoziare su valori e ideali, anche a scapito di critiche e discussioni. Voleva sempre gareggiare alla pari con i suoi avversari e non era disposto a scendere a compromessi, anche a rischio di perdere una medaglia olimpica, anche a rischio di mettersi tutti contro. Come accadde per un bullone fatale nell’Olimpiade invernale di Innsbruck del 1964.
Robin Friday. Il più forte calciatore mai visto
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport). 
Dalle parti di Cardiff non si era mai visto un calciatore forte come Robin Friday. A lui non interessavano la carriera o i soldi, voleva solo giocare a calcio. Fuori dal campo era sempre sopra le righe, una rockstar con basette e capelli lunghi che faceva di testa sua; ma quando scendeva sul manto erboso, Robin parlava al cuore della gente assiepata sui gradoni, la stessa a cui sentiva di appartenere e che lo considerava un eroe. Come durante la leggendaria partita tra Cardiff City e Luton Town del 1977…
Manlio Scopigno. Il filosofo
“Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport).
Manlio era una persona speciale, difficile da catalogare, talvolta anche da comprendere. Fumava calcio, calciava con filosofia e passava spesso da lucide visioni a idee decisamente più sfumate. Aveva un solo grande difetto: capiva al volo le persone. Ne intuiva le derive più nascoste e segrete. Era così che aveva imparato a difendersi dal calcio e dalla sua retorica. Di quel mondo infatti conosceva tutto, pieghe ed ombre incluse. La vita, forse, gli rimaneva un tantino oscura.”
Lea Pericoli. Uno strepitoso rovescio
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport).
In questo martedì 21 giugno 1955 a Wimbledon prende il via il torneo di singolare femminile. A contendersi il titolo molte talentuose tenniste. Tra queste, anche una giovane speranza italiana.
È poco più che ventenne ma ha già bruciato le tappe. Non gioca solo un tennis vibrante e spettacolare, fantasioso e potente, ma ha carattere da vendere. Perché, quando le corde di budello della racchetta baciano plasticamente la magica pallina bianca, il mondo cambia faccia e si trasforma in un’eccitante sfida alle regole geometriche. Perché per Lea il tennis è un nuovo modo di concepire l’esistenza e di coglierne tutte le possibilità.
Giovanni Gerbi. Il ‘Diavolo Rosso’
“Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport).
In questa vita finisce spesso che il nome ce lo regalino le circostanze o gli accadimenti. Come è accaduto anche a Gerbi, perché Giovanni mica lo chiamavano così. Il suo nome ufficiale, quello scritto a mano dall’ufficiale anagrafico del comune di Asti, aveva infatti retto solo per qualche anno e non era sopravvissuto alle prime esuberanti manifestazione pubbliche del suo talento ciclistico. Da lì in avanti Giovanni sarebbe diventato per tutti il ‘Diavolo Rosso’”
Tonya Harding. L’importante è vincere, non partecipare
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport). C’è una frase che torna spesso nella plastica modernità della competizione, soprattutto nei concitati momenti che seguono lo striscione del traguardo o l’attimo finale della sfida. «L’importante non è vincere, ma partecipare». Così riferiscono abbia testualmente declamato l’impettito barone de Coubertin nel suo visionario sogno del riscatto atletico di una generazione. Con tutta probabilità, non a questo pensava la giovane e promettente pattinatrice americana Tonya Harding mentre metteva a punto il suo spietato piano. La sua storia rimane una cronaca di un vile sprofondo, il rimbalzo impazzito di una tensione agonistica spinta all'eccesso e trasformatasi in una fatale ossessione per il primato.
Dick Fosbury. Un flop di enorme successo
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e
antieroi dello sport” (Ultra Sport).
Ogni salto ha una metrica diversa, fatta di leve e rimbalzi. È un battito profondo, ancestrale, qualcosa che esce da abissi e antri arcani. Il salto lo sta chiamando. È lì davanti a lui e a quell’asticella. Lo attende, lo convoca silenziosamente davanti a un emiciclo di tartan rosso, ai
margini di un prato verde e di uno stadio affollato. Cinque giudici in giacca amaranto e trilby discutono sottovoce. L’atleta alto e smilzo che indossa la canottiera blu con il pettorale 272 è lì in piedi davanti a loro e al mondo. Il salto lo chiama. Adesso può andare a prenderlo.
Arthur Ashe - Il primo di sempre
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport). 
Sono da poco passate le 14 di sabato 5 luglio 1975. Sul manto erboso del Centre Court a contendersi il titolo si affrontano due tra le migliori racchette in circolazione. Il primo è un mito assoluto. Si chiama Jimmy Connors ed  è  il numero uno del ranking, all'apice di fama e fortuna. Il secondo è un tennista di colore non più giovanissimo che di anni è prossimo a compierne trenta, ben nove in più di Jimbo. Si chiama Arthur Robert Ashe Jr ed ha avuto un'infanzia travagliata perché, a causa del colore della sua pelle, per anni è rimasto lontano dalle competizioni che contano. È  figlio di un giardiniere e di una domestica e, se non fosse stato per la provvidenziale intercessione di un benefattore, il dottor Walter Johnson, il tennis per lui sarebbe rimasto solo un sogno.
Carlos Monzón - Pugni chiusi
Scritto e raccontato da Diego Alverà, tratto dal libro “Oltre. Storie di eroi e antieroi dello sport” (Ultra Sport).
Delle regole Carlos ne aveva sempre fatto a meno. Era il sesto di dodici figli di una famiglia decimata dalle difficoltà, dalla sfortuna ma anche da una lunga teoria di bravate e illeciti. Le strade di Santa Fe gli avevano insegnato solo una cosa: non si sarebbe mai potuto arrendere, perché se lo avesse fatto anche una sola volta sarebbe stato per sempre. Così, sul ring, come nella vita, Carlos prese sempre tutto di petto, come se ogni volta dovesse giocarsi il titolo, come se tutto dovesse infine risolversi in una questione di vita e di morte.

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